L’8 gennaio del 2016 usciva Blackstar. Quello stesso giorno David Bowie compiva 69 anni. Tutto ciò che possiamo dire, che possiamo pensare ancora di questo album, è indissolubilmente legato a ciò che accadde due giorni più tardi.
Tra le molte suggestioni, i percorsi analitici e i dubbi che sorgono alla luce (nera) degli intrecci, dei riflessi misteriosi di cui le canzoni di Blackstar sono intrise, ho una certezza: che Bowie fosse estremamente consapevole del legame tra il disco e la propria imminente fine. Non solo sapeva che si trattava del suo ultimo lavoro, ma sapeva cosa avrebbe inevitabilmente significato, cosa avrebbe dovuto quindi significare. Su questa consapevolezza pose le fondamenta di un album il cui perno tematico ed espressivo era (è) il proprio stesso morire. In un certo senso, Bowie prese le redini del processo che conduceva alla morte. Rappresentò la morte, la creò, la produsse. Di fatto, la dominò.
Un altro aspetto fondamentale – forse cruciale – è che questa morte musicale (in realtà multimediale) ha finito col prevalere sulla morte fisica, della quale ci è giunta notizia ma non l’evidenza. Dal punto di vista del pubblico, Blackstar è il modo in cui Bowie ha scelto di morire, di scomparire. In altre parole, Blackstar è la morte di David Bowie. Una morte viva, attiva, creativa, capace di spedire messaggi profondi e segnali di bellezza indomabile, febbrile. Una morte comunque angosciosa, ma solo perché ci mette di fronte alle nostre potenzialità – e quindi ai nostri doveri – rispetto ad essa, ci chiama a compiere un salto di qualità, a superarci, a prendere piena consapevolezza di ciò che possiamo realmente essere.
In questo senso, oltre ad essere un disco musicalmente valido, Blackstar è un capolavoro.
A questo link trovate una monografia di Bowie che ho scritto qualche tempo fa assieme a Giulio Pasquali e Giulia Cavaliere.
Ne percepisco il dolore, la rabbia, e anche l’impotenza difronte alla morte. Io credo ci abbia voluto donare un qualcosa che va al di là dell’umano. Un immagine tangibile, musicalmente parlando, della spiritualità che corsiste in ognuno di noi, così tangibile al tatto grazie a questo album ultimo, da portarci a pensare che non si deve arrivare per forza davanti alla morte per riflettere su chi siamo e come abbiamo vissuto fino a quel momento. Siamo migliori di quel che dimostriamo ogni secondo di questa vita… ma ci disperdiamo e ci adeguiamo più per stanchezza che per inerzia.
Penso sia un incentivo a migliorare e crescere prima che sia troppo tardi, oltre che un capolavoro inestimabile. 💫
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[…] a quella del testamento. Come fu – con gesto in quel caso sommamente artistico – per Blackstar. Ma queste considerazioni vanno lasciate ai giorni che verranno. Oggi dobbiamo fare i conti con una […]
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[…] e abbandono vengono scelti quali temi predominanti di un disco rock (vedi i casi di Bowie con Blackstar, Leonard Cohen con You Want It Darker, Marianne Faithfull con Negative Capability, per non dire dei […]
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[…] Blackstar avremmo dovuto/potuto sapere tutto prima e dovremmo sapere tutto oggi, anche tenuto conto della […]
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[…] un sacco di gente alla Carnegie Hall, la sera del 31 marzo 2016, per The Music of David Bowie. Tanto il pubblico accorso a rendere tributo alla memoria dell’ex-Ziggy, scomparso da neanche […]
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[…] copertina. Potevo resistere a un numero di Rumore (il 341, giugno 2020) con in copertina Iggy & Bowie? Suvvia, non […]
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[…] anni più tardi Bowie sarebbe tornato sul tema, recuperando maschere e personaggi, chiudendo cerchi che non si sarebbero aperti mai più (o che si […]
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[…] biografia dall’opera si sfilaccia (ne abbiamo parlato ad esempio a proposito dei dischi finali di David Bowie e Leonard Cohen), ma nel caso specifico si strappa, fatta a pezzi da quello che sembra un esito fin […]
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[…] così, a sessantanove anni (compiuti proprio il giorno prima, coincidente con l’uscita di Blackstar). Con un disco che gettava uno sguardo ampio e profondo sulla linea di confine tra ciò che è […]
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