Supporto e Anima

Ieri è stata una giornata caldissima. Oggi, pure. Con perfetto tempismo, ho passato le ore più infuocate di ieri in una delle città più torride d’Europa, la meravigliosa Firenze. In realtà, ho dovuto farlo per alcuni impegni non procrastinabili. Ma ho pensato di approfittarne per visitare la mostra fotografica Bowie By Sukita al Palazzo Medici Riccardi. Quattro vani “abitati” dalle immagini e dallo spirito di Bowie (e di Bolan, e di Iggy) che mi hanno gratificato e commosso, facendomi dimenticare il gran caldo. Che era fuori, ovviamente, ad attendermi. Col suo abbraccio soffocante. Non era possibile fare molto altro, a parte bere fino a stordirsi. Allora mi sono ricordato – in realtà non l’ho mai dimenticato – che ieri era il giorno dell’uscita di Anima, il nuovo album di Thom Yorke. A questo punto, ovviamente, entra in gioco lo streaming.

Raggiunto il parcheggio (al coperto, grazie al cielo), ho riposto tutte le mie speranze nell’aria condizionata e, appunto, nel music provider. Entrambi non mi hanno deluso. Il nuovo lavoro del leader dei Radiohead è disponibile, pronto a uscire dagli altoparlanti della mia automobile. La prima traccia di Anima si intitola Traffic, è una frenesia electro abbastanza angosciosa ma attraversata da una vena onirica che, beh, mentre affondavo nel traffico fiorentino si è rivelata, come dire, appropriata. Così tanto da sbalzarmi in una dimensione estremamente vicina però, sì, altra. A quel punto ero già entrato nel disco, ovvero nel tempo della mia vita iniziato nel momento in cui ho conosciuto questo disco. Si tratta di un piccolo mutamento che capita con ogni disco, uno scarto tanto più rilevante quanto più il disco in questione è bello, o importante, o semplicemente atteso. Una piccola cosa meravigliosa o indifferente, ma comunque qualcosa.

C’è voluto un po’ per uscire dalla città, più di quello necessario poi a percorrere i quasi quaranta chilometri di Autopalio fino a casa: il condizionatore pompava e Anima ha avuto il tempo di girare due volte nell’abitacolo mentre attraversavo quasi indenne la canicola del pomeriggio in un’apnea solida, esausto ma sollevato, dimentico di me. Su quale impressione mi abbia fatto il disco di Yorke dirò magari in un’altra circostanza, ma bello o brutto che sia, credo che sia il caso di sottolineare questo: tra le cose che un album musicale sa dare, e che concorre nel conferirgli senso, c’è il suo accadere nella tua esistenza, divenire oggetto e agente, entrare a far parte di te. Rappresentare, come scrivevo sopra, uno scarto.

A tale proposito, lo streaming determina fisiologicamente un’astrazione a cui non dobbiamo arrenderci. Intendo dire che ieri, 27 giugno 2019, è uscito un nuovo disco di un autore che mi interessa da molto tempo e che qualcosa di simile accade più o meno ogni giorno. Se esiste una possibilità residua che un disco – questa unità espressiva ancora in corso di validità – possa determinare un prima e un dopo nella nostra esistenza, dobbiamo essere disposti a renderla vera, reale. Supporto fisico o meno. Streaming o meno. Da ieri insomma c’è un disco in più nella mia vita di ascoltatore, e le circostanze con cui l’ho conosciuto faranno parte per sempre di lui, di me. E sarà sempre anche il disco che ho conosciuto quel pomeriggio che tentavo di lasciarmi alle spalle il ventre torrido di una città caotica e meravigliosa. 

Può sembrare banale, ma è ancora qualcosa a cui sento il bisogno di aggrapparmi.

 

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