Elaborare l’assenza: leggere (e scrivere) di musica

Vi capita mai di pensare alle vostre previsioni sbagliate? Io lo faccio spesso. Un po’ perché mi diverte, un po’ perché mi ricorda quanto sia difficile (e imprudente) organizzare le aspettative del domani basandosi su un oggi decifrato con le categorie dello ieri. Ad esempio: all’alba dell’era di Internet i sempre più rapidi mutamenti tecnologici lasciavano supporre tra le altre cose un quadro rivoluzionario per le sorti della mia amata musica. Dalla distribuzione diretta del prodotto finito alle strategie di autopromozione (Myspace in primis) passando ovviamente per i sempre più sofisticati dispositivi hardware e software in grado di dislocare nella propria cameretta gran parte delle operazioni inerenti produzione e incisione, tutto sembrava sul punto di cambiare in profondità. In conseguenza di ciò, assieme ad altri preoccupatissimi appassionati, ipotizzavo scenari tra il distopico e l’apocalittico tout-court: nella mia personale palla di cristallo vedevo il collasso delle grandi major, la scomparsa dell’arte della produzione e l’accartocciarsi del mercato. Tutto questo avrebbe determinato la sostanziale scomparsa delle uscite discografiche per come le conoscevamo allora, sostituite da raccolte estemporanee a bassa produzione, buone al più come memorabilia da spacciare durante i concerti (al pari di magliette, shopper, poster e altre adorabili sciocchezze). Ero pronto a indossare la barba da Nostradamus e a scommettere qualche lira (poi euro) sul verificarsi di questa prospettiva. E invece.  

Molto è cambiato, certo. Ed è proprio questo il punto: il mercato discografico è cambiato sostanzialmente, e in virtù di questo cambiamento non è affatto scomparso. Quanto ai dischi, continuano a uscire. Eccome se escono. Uscite a pacchi, a pioggia, a fiumi. Il modo in cui vengono percepiti (e ascoltati) oggi i dischi è profondamente diverso, certo, lo stesso vale per modalità e dinamiche con cui producono reddito, tuttavia continuano a essere un anello forte della catena. Quella mia vecchia (non solo mia, a dire il vero) previsione si è rivelata quindi sbagliata, eccetto ahimé la perdita di centralità del rock rispetto al presente, paradossale in un’epoca contraddistinta dall’ascolto mai tanto diffuso di musica (e quindi anche di rock). A questo paradosso se ne aggiunge un altro, quello cioè di un’editoria che – almeno nel nostro Paese – non è mai stata tanto prodiga di pubblicazioni che vanno al cuore del rock (e dintorni) nel momento stesso in cui il rock sembra ridotto al replicante di se stesso, a un serbatoio di immaginario utile per dare la stura a biopic cinematografici e passerelle modaiole. 

o così: non credo di avere mai letto con tanta frequenza libri a tema musicale, e se lo faccio è perché ne escono in continuazione (vedi ad esempio qui, e qui, e qui, e qui). Libri assai diversi per temi, taglio e approccio, in grado quindi di comporre sfaccettatura dopo sfaccettatura forma e sostanza di un solido complesso, difficile da decifrare, ma che merita ogni sforzo in questo senso. Lo merita perché sa raccontarci a vari livelli la problematicità di quello che stiamo vivendo in termini di comunicazione, conformismo, libertà e altri aspetti variamenti cruciali messi in crisi dalla rivoluzione digitale tuttora in atto.

Negli ultimi giorni di libri del genere ne ho letti due, diversissimi sotto tutti molti punti di vista. 

Il primo lo ha scritto Doriana Tozzi, direttrice di I Think Magazine e redattrice per Rockit, Rumore e L’isola che non c’era: si intitola B-Side (Arcana) e reinterpreta attraverso l’invenzione narrativa ventuno canzoni del rock “alternativo” italiano. Proprio così, ventuno racconti che rielaborano sensazioni, fagocitano testi, metabolizzano umori e ne fanno, in breve, racconti. Dagli …A Toys Orchestra a Le Luci Della Centrale Elettrica passando da Verdena, Afterhours, Marlene Kuntz, Diaframma, Baustelle, Paolo Benvegnù e CCCP tra gli altri, Tozzi fa viaggiare l’estro modulando il registro e l’ambito espressivo, prendendosi la libertà di trasfigurare il senso della canzone seguendo percorsi misteriosi, stabiliti da meccanismi che solo lei potrebbe spiegare (ma che giustamente rimangono impliciti). Non tutti i racconti sono ispirati, qualcuno sembra pagare un pegno eccessivo al cordone ombelicale con la canzone “di provenienza”, ma quando azzeccano la chiave giusta – La polvere, ispirato a Chiedi alla polvere dei Perturbazione, e Piccoli oggetti ossessionanti, ispirato a Oggetto piccolo(a) dei Virginiana Miller, sono i miei preferiti – l’effetto è notevole. 

La prefazione di B-Side è scritta da Rossano Lo Mele, batterista dei già citati Perturbazione nonché giornalista e direttore di Rumore, autore del secondo libro che ho appena finito di leggere: Scrivere di musica (Minimum fax) è, come dicevo, tutta un’altra cosa. Lo Mele ha confezionato un autentico manuale rivolto a chiunque voglia cimentarsi nella scrittura musicale, quella strana attività che prevede recensioni, interviste, articoli di approfondimento e monografie, su carta e su web, su testate o su blog, in ogni caso destinate a raccogliere perlopiù indifferenza e incomprensioni, ma in compenso capaci di garantire al loro autore un ritorno economico inesistente. Sto scherzando, ovviamente (ritorno economico a parte). Il paradosso di cui scrivevo sopra vive anche di questo aspetto: la scrittura a tema musicale è un fenomeno in piena esplosione, ha trovato nella rete praterie da esplorare e occupare, regalando a molte “penne” più o meno improvvisate la possibilità di pubblicare giudizi, opinioni, dissertazioni, approfondimenti, persino interviste.

Se da un lato questo libro sembra arrivare fuori tempo massimo, almeno per quanto riguarda le riviste tradizionalmente intese (perlopiù cartacee), dall’altro sembra che non esista momento migliore per intervenire e mettere ordine nel traffico selvaggio della rete, con la sua anarchia formale e contenutistica che rischia di sclerotizzare i codici e consegnarci al campo aperto di un fronte giornalistico battuto dal fuoco incrociato delle mitraglie social (vedi alla voce clickbait). Accanto alle nozioni tecniche, alle citazioni esemplari e ai consigli utili, Lo Mele ci mette l’esperienza (ricorrendo all’aneddotica e al memoir), è abile a tenere sempre al centro la dimensione umana di questa poliedrica prassi di comunicazione che, da quando musica è musica, innesca un confronto vitale tra ascolto e ascoltatore, contribuendo a determinare la forma stessa delle (nostre) emozioni, il loro perimetro e gli sviluppi, le affinità e divergenze, i percorsi possibili e auspicabili. 

Due libri agli antipodi di un processo di riflessione (in parte generazionale, ma tendenzialmente generale) in pieno svolgimento, innescato – credo – dalla necessità di superare una crisi di cui fatichiamo a identificare i contorni e le ricadute. Ritirandosi nella comfort zone di uno svago sempre più algoritmico, la musica non è più quel divertimento perturbante capace di rappresentare (il bisogno di) tempi nuovi. In questo senso, ha lasciato dietro di sé un vuoto. Mi piace pensare che tutte queste pagine spedite a invadere gli scaffali delle librerie – saggi, fiction, biografie… – rispondano, assieme alla documentaristica cinetelevisiva, al nostro bisogno di andare oltre, di trovare risposte e soluzioni per elaborare questa assenza. Che, spero, sarà di nuovo la musica a riempire.

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