Mappe e desideri: questo 2019

Dunque.
Questa cosa delle classifiche di fine anno fa discutere sempre, da sempre. È un po’ più facile e divertente compilarle da quando ho accettato che si tratta di un giochino che il lettore dimenticherà nel giro di pochi minuti. Come del resto farò io.

Eppure qualcosa di simile a un senso più profondo e persistente c’è, uno scrutare nel residuo del tempo, nella sua eredità sulla nostra capacità di discernere e ricordare. Vale soprattutto per quest’anno che si porta via anche un decennio. Forse perché siamo, nel tempo, la nostra memoria.

Mi capita spesso di pensare alle cellule. Un po’ come la celebre ruggine cantata da Neil Young, le cellule non dormono mai. Mettono in atto un ricambio incessante che comporta alla sostituzione totale di carne, ossa, nervi e tutto il resto. La nostra essenza tangibile viene del tutto sostituita nel giro di pochi anni. La memoria è quello che ci tiene insieme, la parentela con quell’estraneo che eravamo, la premessa di colui che saremo.

Ogni classifica può essere vista come una resa dei conti parziale con la memoria di quello che abbiamo provato, che ci ha emozionato, meravigliato o deluso. Oppure, se preferite, come uno sguardo sul viottolo scivoloso che ci siamo lasciati alle spalle. Fa lo stesso. Resta il senso di esperienza che, nel suo definirsi, ci definisce.

Il 2019 mi è piaciuto tra l’abbastanza e il molto, dal punto di vista musicale. Dovessi dare un voto – uno di quei voti coi decimali che usano quelli di Pitchfork e usiamo su Sentireascoltare, una prassi che tanto fa discutere – spenderei un 7.2, interpretabile come un “più che buono”. Al di là dei dischi – entità soggette a un profondo processo di ridefinizione con il consolidarsi dello streaming come pratica di distribuzione e ascolto primaria – a colpirmi è però la quantità delle uscite di libri dedicati alla musica. Libri che indagano, raccontano, ripercorrono il passato e il presente del nostro amato rock. Libri di questo tipo ne escono molti, continuano a uscirne. Nuove pubblicazioni e ristampe. È un momento effervescente, da questo punto di vista.

Credo che non sia un caso, né una contraddizione (rispetto all’oggettiva marginalizzazione del rock rispetto al panorama musicale). Penso che questo fiorire dell’editoria musicale e rock in particolare sia, in qualche modo, una risposta al disorientamento che proviamo di fronte alla disponibilità e simultaneità di milioni di canzoni nei cataloghi dei music provider. Un mare magnum che scoraggia la navigazione priva di mappe, che invita a ripercorrere rotte sperimentate verso destinazioni promettenti, ricche di sostanza e connessioni. Se c’è qualcosa di nostalgico in questo fenomeno, è nostalgia di un ascolto come esperienza profonda, nutritiva. I libri che raccontano il rock, che ne rivelano le implicazioni e i risvolti con la Storia e col presente, possono quindi essere visti come veri e propri viaggi in direzione desiderio.

Poi, certo, ci sono i dischi. Che continuano a uscire. A sorprenderti con una forza e vampe di bellezza che spesso ho temuto (e a volte ancora temo) di non dovermi più attendere da una nuova uscita. Trovate la mia classifica, o quello che è, su Sentireascoltare.

3 commenti

  1. Oggi, diversamente forse dal recente passato, noi – la piccola élite nascosta e segreta di appassionati mediamente nostalgici, mi ci metto pure io, toh- più che ad ascoltare gli stessi dischi carbonari, ci ritroveremo a leggere gli stessi libri che raccontano della musica e delle increspature che tanto amiamo.

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    • Messa così sembra tutto un crogiolarsi nostalgico autoreferenziale, e in parte lo è 🙂
      Ma c’è un aspetto di re-interpretazione a mio avviso fondamentale. La traccia è: cosa abbiamo DAVVERO ascoltato? E poi: cosa NON abbiamo davvero ascoltato? E ancora: come possiamo ANCORA ascoltare?
      Mi sembra un momento di riflessione importante e necessario mentre il rock – pe fortuna – continua ancora a brulicare, mentre escono dischi che comunque ci provano a mordere le caviglie al presente.

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