Palco pieno, platea vuota: The Lockdown Blues

Bisogna stare attenti a scegliersi la parte. Mai come ora. Per dire, è sufficiente dichiararsi d’accordo con un’affermazione, basta anche un misero like a un post, per farsi cucire addosso una presa di posizione tutta intera, assieme a tutte le dinamiche pro e contro che si porta dietro (sempre). Ahimé, non sono tempi facili per operare distinguo. Le soglie di attenzione e comprensione vacillano, vibrano. Si scambiano di posto. S’infiammano.

Sostenere che ogni crisi porta con sé delle opportunità, ad esempio: non mi viene in mente affermazione più scontata. E ovviamente vera. Ma attenzione a ribadirlo con leggerezza, perché può rappresentare la bandierina che fa drizzare i mirini e fremere il dito sul grilletto ai cecchini sovraeccitati. Prendi la questione dei concerti: ti azzardi a dire che tutto sommato nelle performance in streaming non tutto è da buttare, anzi c’è qualcosa di peculiare che potrebbe meritare spazio anche a emergenza finita, ed ecco che subito diventi complice di chi (ma chi?) vorrebbe mettere a sistema la modalità di “concerto a distanza”, farne una prassi a tutto svantaggio dei concerti “in presenza”.

Hai voglia poi di precisare, entrare nel dettaglio, argomentare che nella particolarità dello streaming prende forma un linguaggio a sé stante, un grado di intimità, attenzione e intenzione simile ma inedito rispetto al concerto tradizionalmente inteso, e che quindi non cambiano solo le modalità di – consentitemi i termini – erogazione e fruizione, ma la natura stessa del fenomeno. In altre parole, il concerto in presenza è un’altra cosa, non ha senso ritenere il concerto a distanza un suo – consentitemi anche questo – competitor.

No, non c’è partita: il concerto dal vivo è un intreccio di pianificazione ed estemporaneità, di attrito e intesa, di mestiere e genio, di aspettative e sorpresa, di sfregamenti e inconvenienti e meraviglia e improvvisazione e scomodità e incontri e condizioni meteo e trasfigurazioni e sacrosanto caos in cerca di forma, nulla insomma che possa realmente accadere tra un musicista nel suo studio-salotto e uno spettatore nella sua platea-cameretta. Mi sembra evidente che lo streaming sia (è) altro per obiettivi, contesto, risultati e un bel po’ di altre cose.

È appena uscito The Lockdown Blues, disco registrato live lo scorso primo maggio (la mia recensione qui). Quattro musicisti (Don Antonio, Nicola Peruch, Vince Vallicelli e Roberto Villa) hanno dato vita a un concerto – in presenza seppure in sicurezza – dalle parti di Castrocaro. Di fronte a loro una platea vuota. Tra di loro, la musica ha dato prova di quanto e come suonare su un palco rimanga un gesto essenziale. Si tratta di un messaggio chiaramente rivolto al qui e ora, un monito affinché si comprenda quanto sia importante recuperare il valore del fare musica a emergenza finita, tanto economicamente che culturalmente. Mi piace sentirci tuttavia un messaggio di portata più ampia: al di là del contenimento, del distanziamento, dell’annullamento di tutta una stagione concertistica (o quasi) dovuta alla pandemia, la musica dal vivo stava già vivendo da anni una fase di crisi più profonda che investe innanzitutto gli aspetti organizzativi, enfatizzati al punto da tendere verso una eccessiva strutturazione e pianificazione dell’evento, tanto da relegare la musica stessa in secondo piano. Ne ho già parlato a suo tempo.

Ed ecco un disco, questo disco, che recupera un senso del suonare dal vivo che – a mio avviso – si stava spegnendo, formattandosi in uno show sempre più organizzato, messo a sistema. Perciò credo che, al di là della contingenza storica, si tratti di un disco molto importante, oltre che assai bello. Vi consiglio vivamente di farlo vostro.

6 commenti

  1. Le crisi sono portatrici di adattamento temporale … le opportunità sono la capacità di inventiva e di estro che forse in tempi normali non si sarebbe mai arrivati a pensare .non penso proprio che cambierà qualcosa nel sistema dei concerti live. Scioccamente ti dico… “saranno più spietati con i costi dei biglietti”. 😬

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    • Temo anche io. È un processo che parte da lontano, sfrutta il bisogno di sicurezza post-attentati per imbastire una struttura di controllo che fa del concerto un’esperienza da villaggio turistico blindato. Da domani a questo si aggiungerà una ulteriore stratificazione si controllo i cui costi ricadranno sul pubblico: è un’ipotesi credibile. Penso però che la musica stia altrove. In questo disco accade proprio questo: la musica dimostra cos’è. Cos’è il suonare. E quindi cos’è il nostro bisogno di ascoltare. L’opportunità offerta da questa crisi è forse proprio questo invito a recuperare il fare musica senza rete, ad ascoltare musica come avvenimento sorprendente, non pianificato. Spero che sapremo coglierla.

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      • Avrei proprio voluto aggiungere quello che hai detto tu alla fine della tua risposta. la musica sa dove deve stare, la musica sana, genuina, sa davvero dove deve stare . L’anima della vera musica è davvero quella che si esibisce su un palco, adattandosi davanti una platea vuota … Nell’attesa che si ritorni ad apprezzare la sua esistenza. Purtroppo siamo arrivati in una fase dove lo scopo è più “commerciale” che artistico. (Vedi l’ultimo lavoro del mister Zimmerman…🤨)Sai cosa mi auguro per il futuro dei concerti live dei gruppi e soprattutto quelli famosi Stefano? Mi auguro che facciano “davvero”più musica e meno scenografia della musica perché a volte i prezzi lievitano proprio perché soddisfano le esigenze megalomane di molti gruppi che devono farsi notare invece di esprimersi. Sarà che sono diventata un po’ cinica con questo Lockdown ???buona giornata 😇

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