Ricerca e vuoto: La verità su tutto di Vanni Santoni

Cleo – ovvero la sociologa Cleopatra Mancini – era una delle tre voci (rappresentava “L’intelletto”, laddove Iacopo corrispondeva a “I sensi” e Viridiana a “Lo spirito”) intervistate in Muro di casse (ne scrissi a suo tempo qui), il curioso e riuscito volumetto con cui Vanni Santoni ha voluto narrare la (e rendere giustizia alla) stagione dei teknival. L’abbiamo incontrata, Cleo, anche in Emma & Cleo, uno dei racconti della raccolta a più voci L’età della febbre, (Minimum Fax, 2015), né più né meno la premessa del qui presente La verità su tutto, romanzo le cui radici affondano nel profondo di quella ormai defunta relazione, nel suo ricordo solo apparentemente disinnescato. 

La scintilla che mette in moto la vicenda è abbastanza paradossale e neanche troppo sottilmente ironica, dal momento che Cleo, futura Shakti Devi, mistica co-fondatrice di una comunità di portata internazionale, inizia il proprio percorso di ricerca spirituale a partire da… un video pornografico pescato in rete. Nel clip Cleo crede di vedere proprio l’ex-compagna Emma, lasciata qualche anno prima per mettersi con Laura: da qui, improvvisa e sconvolgente, la consapevolezza di avere fatto del male e, soprattutto, che fosse già accaduto altre volte. Di più: si fa largo in lei un pensiero insostenibile, ovvero che ogni scelta, il fatto stesso di vivere e persino di vivere nella convinzione di fare il bene, preveda come conseguenza il male.

Seguirà un progressivo allontanamento dai riferimenti apparentemente solidi della propria esistenza – il lavoro in facoltà, la relazione con Laura, lo stesso far parte di un consesso sociale – per intraprendere un viaggio intellettuale e spirituale via via più denso, sempre più complesso, fino ai limiti del vertiginoso, nel tentativo di capire se sia possibile – semplificando al massimo – redimere i “punti di male” di cui la vita è imbrattata. “Davvero”, si chiede Cleo, “ci si poteva accontentare di essere un po’ buoni?”.

Questo processo muove i primi passi nella biblioteca della facoltà di Lettere in piazza Brunelleschi a Firenze, dove tra compagni di viaggio reali (l’anziano Morelli) e immaginari (il ”fantasma” di Simone Weil nientemeno), Cleo tira le fila di vecchie letture (di vecchie colpe) e schiude nuovi varchi. 

“Quando gli eventi si mettono in moto, possono accadere più cose nella stanza inutilizzata di una biblioteca che per le strade di una metropoli”

È solo la prima tappa di un cammino lungo e rocambolesco che la vedrà entrare in contatto con realtà spirituali diverse, si tratti dei frati Zeitzé, degli Hare Krishna o dei Folletti (riferimento al Popolo degli Elfi di Pistoia?), per poi improvvisarsi eremita in una stamberga di pietra in Vallombrosa (uno dei luoghi-feticcio di Santoni) e quindi traslare in una comunità sgangherata ma intensa, dove si imbatte tra gli altri nel venerando Antonio, molto probabilmente quell’Antonio Michelangelo personaggio centrale de I fratelli Michelangelo. La tappa successiva sarà l’incontro con Kumari Devi, destinata fin da bambina a un ruolo da semi-divinità, assieme alla quale darà vita alla Fondazione Shakti, che da Pontremoli a Shaktiville finirà per impollinare il mondo di sedi, attirando centinaia di migliaia di fedeli.

Si tratta di fiction, quindi eviteremo di spoilerare il finale, ma è evidente che il senso dell’opera è il quesito iniziale, che non smette di affiorare in itinere come una scossa che pungola la ricerca ansiosa di Cleo, seppure stemperata dal suo understatement terrigno sciorinato in prima persona (artificio letterario vuole che si tratti di una lunga intervista). Malgrado questa vena ironica di fondo, l’interrogativo resta così grande, così fondamentale, e al tempo stesso così intimo, che non è facile neanche da formulare, da sintetizzare.

Verrebbe da dire che Santoni abbia portato oggi allo scoperto un tema parzialmente celato in precedenza (soprattutto ne I fratelli Michelangelo), ovvero il tentativo – tanto cruciale quanto equivoco – di rispondere alla domanda: “è tutto qui?”. Non certo, ne converrete, un interrogativo da poco. Si potrebbe addirittura affermare – allargando l’obiettivo e col rischio di generalizzare un po’ troppo (pazienza) – che è LA domanda a cui si tenta di dare risposta da sempre, o almeno da quando il sapiens si è trovato a fare i conti coi primi vagiti dell’astrazione. 

La sensazione quindi è che Santoni stia da qualche anno pennellando un quadro ampio e sempre più strutturato, spremendo sulla tavolozza il succo di esperienze “controculturali”, ribellandosi quindi alla distrazione (chiamiamola così) collettiva nei riguardi della ricerca spirituale, delle esperienze ludiche (l’immaginario dei giochi di ruolo raccontato in La stanza profonda e L’impero del sogno), della peraltro vilipesa cultura dei free party nonché dell’attuale – e, va da sé, piuttosto sottostimato – “rinascimento psichedelico”. Ne risulta una mappatura alternativa dell’ultimo (almeno) quarto di secolo, un tentativo di risalire al cuore del presente muovendosi tra le linee, silenziando il navigatore coi relativi stradari concettuali standard, attraversando confini in ragione della loro porosità. 

La verità su tutto in questo senso segna un ulteriore affinamento dell’ibridazione tra non-fiction e fiction: di sicuro è ascrivibile alla seconda categoria ma – come dire – sembra sempre sul punto di far implodere la trama, la interiorizza spingendola a coincidere con l’avventura mistica/spirituale di Cleo, la quale del resto non manca di fornire al lettore un flusso costante di riferimenti e coordinate culturali, come altrettanti sassolini lasciati sulla strada un po’ per non perdersi, un po’ per ammiccare, un po’ per indicare direzioni. Il personaggio sembra, come dire, chiamarsi fuori dalla finzione, alludere a uno scopo e persino a uno “schema esterno”.

Eccco quindi che, libro dopo libro, Vanni Santoni tende fili, connette situazioni, traccia perimetri geografici e tematici che poi spezza in sconcertanti aperture, utilizza personaggi come coordinate, incarnazioni letterarie (!) di altrettante angolazioni umane e culturali.  Che le sue opere possano (debbano) essere viste come elementi di un progetto più vasto, lo testimonia del resto e appunto anche la presenza ricorsiva dei personaggi, tanto che possiamo iniziare a parlare – per scherzo ma neppure troppo – di un vero e proprio “universo Santoni”. Ma, anche da questo punto di vista, La verità su tutto va oltre, introducendo l’autore stesso nella narrazione (viene appunto citato – seppure solo limitandosi a una pudica V. – come l’intervistatore di Cleo per Muro di casse): più che di un vezzo in stile cameo hitchcockiano, somiglia a una specie di attestazione di realtà, sia per i personaggi coinvolti che per l’opera tirata in ballo, così da – come dire – inverare tutta la struttura. Ancora una volta, ancora di più, fiction e non-fiction giocano a specchiarsi, a mescolare i confini.

In conclusione, credo che uno degli aspetti che rendono importante La verità su tutto sia il suo nucleo filosofico, ovvero il tentativo appassionato e al tempo stesso disperato, divertito e intenso, eruditissimo eppure candido, di mettere in evidenza uno dei vuoti su cui la nostra quotidianità vacilla, anche se finge di non farci troppo caso: la sostanziale fragilità della morale laica, la sua incapacità di porsi come orizzonte e fondamenta. Da cui la necessità – il coraggio – di rimettere in gioco concetti, temi e intere categorie di pensiero che da qualche tempo abbiamo, più o meno diplomaticamente, lasciato in panchina.      

“Il bene è l’unica vera fonte del sacro. Il concetto di morale laica è un’assurdità appunto perché la volontà è impotente a produrre la salvezza. Ciò che si chiama morale, infatti, fa appello solo alla volontà, e proprio a ciò che essa ha, per così dire, di più muscolare. La fede, invece si appella al desiderio. È il desiderio che salva”     

Non è tempo di risposte definitive, del resto è dura anche per quelle parziali. Per le domande, invece, è forse il caso di (ri)organizzarsi.

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