La malattia di Hansen, più comunemente nota come lebbra, ha un tempo di incubazione variabile da pochi mesi a dieci anni. A provocarla è un batterio che, con ogni evidenza, non ha fretta. La gravità della malattia può variare considerevolmente in funzione della risposta immunitaria. Nei casi peggiori, i sintomi sono devastanti.
Edward Sanders, il protagonista di Foresta di cristallo, romanzo di J. G. Ballard pubblicato nel 1966, è medico in un lebbrosario africano. Il suo viaggio per incontrare la ex-amante, moglie di un collega, lo catapulta nel cuore di uno strano fenomeno: l’intera città di Mont Royal e la foresta circostante si stanno cristallizzando, e il territorio interessato è chiaramente in espansione. Non bastasse, giungono notizie che possa trattarsi di una sorta di lebbra planetaria, una vera propria pandemia, dal momento che anche in Florida sta accadendo qualcosa di simile. Ricorrendo alla cassetta degli attrezzi del romanzo d’avventura però sempre sul punto di scivolare nella sci-fi esistenziale, Ballard costruisce un romanzo avvincente seppure intriso di metafore che invitano costantemente il lettore a riflettere, a interrogarsi sul senso reale di questa strisciante apocalisse.
La “tempesta” che provoca la cristallizzazione determina una “zona” – impossibile non pensare a Picnic sul ciglio della strada (che i fratelli Strugack pubblicarono nel 1972) e al recente Annientamento – in cui le consuete leggi della fisica vengono stravolte, tanto che la materia produce dimensioni ulteriori (minerali) di sé, concrezioni cristalline ipercromatiche che rivestono e quindi “divorano” l’esistente, inglobandolo in una forma inorganica che sembra privo di vita solo rispetto al nostro piano di esistenza, alla nostra auto-percezione in funzione del tempo. Non a caso alcune “vittime” sembrano anelare a questo stato minerale, così da fuggire dalla trappola del tempo, alla corruzione del corpo (di cui la lebbra è il paradigma) e dello spirito, per consegnarsi alla comunione con un organismo luminoso, universale.
Il tentativo di spiegare il fenomeno chiama in causa il collasso del tempo: le pagine in cui il protagonista si addentra nel cuore della foresta soggetta a una continua, fantasmagorica mutazione sono visionarie e stordenti. Ballard è magistrale nello scompaginare i riferimenti rendendo palpabile il disorientamento sensoriale e temporale del protagonista (e ovviamente del lettore), effetto ribadito anche dal costante utilizzo del tema del doppio, tra sfasamenti temporali – la giovane Louise e la matura Suzanne -, antagonismi atavici – tra Ventress e Thorensen – e imperscrutabili legami (tra il protagonista la moribonda Serena?).
Di fronte a questo sfaldarsi di ogni parametro e consuetudine, sembra consumarsi una frattura tra chi ne è più e meno consapevole. Sanders comprende che di fronte a questo sconvolgimento delle leggi fisiche, alla realtà materiale e immateriale non sono più applicabili i valori su cui si sono fondati l’ordine sociale e le prassi relazionali: etica, economia, morale, sentimenti, tutto si sbriciola a causa di quello che ha tutto l’aspetto di un capriccio involontario dell’universo, un cambio di paradigma tutto sommato marginale su scala cosmica e del tutto indifferente alle sorti dell’umanità.
I risvolti mistici che impregnano il finale, dove Padre Balthus finisce per incarnare il centro nevralgico e tematico della vicenda (un po’ come il Colonnello Kurtz di Apocalipse Now), si muovono sulla linea d’ombra tra spiritualità e materialismo, consegnando il protagonista a un mistero aperto, all’abbandono volontario nel ventre di un destino imperscrutabile, in cui l’assenza di risposte contiene l’unica risposta che è lecito attendersi.
Tempo. Malattia. Contagio. Destino. Valori. Fede. Realtà. Non amo ragionare in termini di opportunismo quando si tratta di fiction, ma leggere oggi questo romanzo di Ballard mi è sembrato, come dire, utile. Il destino delle opere compiute è quello di non esaurire mai la capacità di relazionarsi col mondo della finzione e della realtà. Non ho letto tutte le opere di Ballard, ma ogni volta ho avuto la sensazione che scrivesse tenendo nel mirino uno snodo nevralgico del mondo contemporaneo. Lettura consigliatissima.
Tutta la “tetralogia dell’apocalisse” è favolosa, ma non c’è riga di Ballard che non meriti lettura.
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[…] si tratta, è ovvio, di una novità assoluta. Se leggo Ballard, come dire, un po’ me la vado a cercare. È semmai nuovo il fatto che TUTTO sembra […]
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[…] qualche mese fa. L’ho recuperato oggi rileggendolo alla luce di un rinnovato interesse per J.G. Ballard, e mi è sembrato finalmente pronto a vedere la […]
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[…] di cemento di J.G. Ballard uscì nel 1974, arrivò quindi poco dopo Crash (del 1973) e ne riverbera l’ossessione per la […]
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[…] un distacco asciutto bilanciato da una morbidezza puntigliosa di stampo favolistico, quasi che Ballard si fosse fatto un giro tra le inquietudini umoristiche del Marcovaldo di Calvino, riuscendo così a […]
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[…] condita da infusioni di surrealismo grottesco e strisciante ironia, in questo senso quindi ballardiana. Inevitabile recuperare gli altri due titoli della […]
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[…] maligno, mosso da un’insensatezza crudele, persino beffarda, tanto da fare pensare a un Ballard stregato dai fratelli […]
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[…] alla distopia classica – in particolare per autori citati in esergo ai capitoli come Orwell, Ballard, Huxley, Bradbury e Morselli, a cui aggiungerei senz’altro lo Zamjatin di Noi e il London de Il […]
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[…] questa cappa apocalittica ballardiana, abitata da spauracchi ctoni che diresti quasi Lovecraft, da presenze conturbanti alla fratelli […]
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