Inspiegabile: I Can’t Explain – The Who

Il 15 gennaio del 1965 usciva il primo singolo a firma The Who. In realtà non si trattava del loro singolo d’esordio: Zoot Suite era infatti stato pubblicato qualche mese prima, però quando ancora si facevano chiamare The High Numbers. Quindi ok, possiamo legittimamente sostenere che I Can’t Explain sia stato il primo sussulto discografico dei The Who.

Scritto da Pete Townshend, è un pezzo che deve qualcosa ai primi, tumultuosi Kinks (del resto il produttore era lo stesso: Shel Talmy) ma la sua fibra è sensibilmente diversa rispetto ai formidabili assalti sonori della band guidata dai Davies: sembra, come dire, meno aggrappata ai suoi giorni, votata a oltrepassarsi. Puoi avvertirlo da quel passo assieme sciropposo e radiante, come di chi mescola impeto e visione, chi sa che la partita non si gioca sul respiro breve di una stagione ma si irradierà in un periodo intenzionato a diventare un’epoca.

Eppure, ovviamente, no: Townshend, Daltrey, Entwistle e Moon (e Jimmy Page, reclutato come chitarrista ritmico per l’occasione) non potevano certo sapere cosa sarebbe accaduto, cosa sarebbero diventati, cosa avrebbe significato la loro musica per gli anni a venire. Non certo in quella fine del 1964 (quando si tennero le sedute di incisione), quando tutto per loro doveva decidersi e non c’era nulla di più precario delle loro ambizioni.

Difficile quindi spiegare (!) perché in I Can’t Explain si consumi quella mischia di folgorazione e prospettiva, di inconsapevolezza e determinazione, di sconcerto e progetto che di lì a poco avrebbe travolto la scena pop britannica e una generazione – è il caso di dire – di ragazzi febbrili e irrequieti.

Come avrebbe fatto più sfacciatamente My Generation pochi mesi più tardi (a novembre, per la precisione), I Can’t Explain dava voce ai giovani (inglesi) di metà anni Sessanta mettendo loro in bocca parole assieme eccitate e spaurite, quasi che il senso di ciò che stava accadendo fosse così grande e inedito da rendere difficoltoso spiegarlo, comunicarlo, dominarlo. Certo, Townshend dissacrerà questa interpretazione descrivendo il pezzo come il vaneggiamento di un ragazzo in trip di dexedrina, lettura che a ben vedere non è certo meno emblematica rispetto a ciò che stava brulicando in quei giorni tra le camerette, le strade e i pub.

Sia come sia, I Can’t Explain rimarrà per decenni tra i numeri immancabili nei travolgenti live della band. E non mancherà di colpire anche il giovanissimo David Bowie, che qualche anno più tardi – in quel 1973 che lo vedeva ormai assurto al rango di fenomeno marziano – la inserirà nel suo album di cover Pin Ups, indicandola di fatto come una delle canzoni segnanti della sua formazione. Del resto, il senso di Bowie per l’ineffabile, per ciò che non si può esprimere dicendo e per quello che si esprime meglio non dicendo, non si sarebbe certo esaurito qui.

You know I can’t explain
I’m going out of my mind
Well I’m a worried guy
But I can’t explain

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