Il 16 novembre del 1999 veniva pubblicato il singolo The Great Beyond. I R.E.M. si trovavano esattamente in bilico tra Up, l’album della svolta sintetica seguita al ritiro del batterista Bill Berry, e Reveal, che sarebbe uscito nella primavera del 2001. The Great Beyond sarebbe stato il pezzo pregiato (assieme alla omonima canzone) del film Man On The Moon, diretto dal grande Miloš Forman e interpretato da un Jim Carrey al primo ruolo davvero importante. Questo significava che The Great Beyond non avrebbe fatto parte di un album vero e proprio della band di Athens. C’erano insomma tutte le condizioni affinché compissi un gesto a cui ormai mi ero del tutto disabituato: comprare un singolo.
Da assoluto non-completista, immune ai richiami del collezionismo e refrattario alle tipiche condotte da fan, non provavo alcun interesse nell’acquisto di un CD contenente una traccia che gia avevo o che avrei trovato presto in un album, più altri pezzi sistematicamente secondari. Era una questione di soldi, principalmente, ma ne facevo anche una questione di principio: va bene la passione, ma insomma, ragazzi, parliamone. Inoltre, il CD single si mostrava fisicamente identico a un CD “album”, per il semplice motivo che lo era (il formato mini-CD da 3” non riuscì mai ad attecchire significativamente).
Cambiava la custodia, una frustrante versione slim corredata da un foglietto coi crediti e, se andava bene, il testo. Costava circa la metà di un album, più o meno come il 45 giri in vinile rispetto al formato LP, ma l’effetto era assai diverso: il CD sembrava rivelare la natura industriale del supporto, i suoi potenziali settanta minuti (circa) di musica erano presenti come un fantasma e incombevano quando ne venivano utilizzati solo una piccola parte (dieci o quindici al massimo). Non potevo fare a meno di avvertire un mortificante senso di spreco (aggiungo che in parte accadeva anche con gli album che duravano “solo” una cinquantina di minuti). Facevano eccezione certi meravigliosi EP, ad esempio quelli dei Belle & Sebastian (ne riparleremo). Comunque, quel 16 novembre del 1999, a pochi giorni dalla fine del secolo, dal fatidico 2000, dal famigerato Millennium-Bug, uscì The Great Beyond. E mi fiondai a comprarlo.
Up mi era piaciuto molto dopo il grande sconcerto iniziale: intelligentemente, Stipe, Buck e Mills non finsero di essere la stessa band dopo l’uscita di Berry. Girarono pagina, andarono oltre. Ma The Great Beyond sembra giocare sulla linea d’ombra tra passato e presente, tra retaggi psichedelici e fastose malie cameristiche. Il batterista è Joey Waronker, uno dei migliori session man e turnisti sulla piazza, che però resta una nota tra i crediti, significativamente non compare neanche nel relativo clip. Anzi, il video inizia coi tre R.E.M. reduci che sembrano attendere qualcosa o qualcuno di fronte alle telecamere spianate. Si capirà poi che si tratta di una riflessione sui tempi e sulle forme del media televisivo, ma per qualche secondo sembra quasi che i tre stiano aspettando il loro batterista per iniziare. Il batterista non arriverà, ma la canzone esisterà ugualmente. Bellissima.
Un’ultima cosa su Man On The Moon, il film di Forman: è davvero notevole. E lo è ancora di più considerando la geniale follia di Carrey che non si limitò a interpretare Andy Kaufman ma lo divenne, dando vita a una performance formidabile e a numerosi incidenti sul set (e non solo, compreso un ricovero per la colluttazione con un wrestler provocato a più riprese). Tutto ciò è raccontato nell’affascinante documentario Jim & Andy: The Great Beyond, girato da Chris Smith nel 2017, che raccomando a chiunque voglia mettere in discussione le proprie convinzioni in merito al rapporto tra finzione e identificazione (o che voglia anche solo semplicemente divertirsi).