I hear your laugh in my laughter
Mentre leggevo il bel memoir di Jeff Tweedy – Let’s Go (So We Can Get Back) – qui la mia recensione per Sentireascoltare – sentivo il bisogno di far uscire dagli altoparlanti le canzoni degli Uncle Tupelo, dei Wilco, dei Minus 5, dei Tweedys. Il libro procede in senso cronologico ma con frequenti balzi e rimbalzi temporali, quindi non è semplice organizzarsi una playlist, come dire, sincronizzata. Almeno, non è facile farlo preventivamente. Mentre mi avvicinavo alle ultime pagine, ed era sempre più chiara la vibrazione che mi avrebbero lasciato, avevo in testa un pezzo in particolare. Si faceva largo lentamente ma inesorabilmente in una specie di spazio bianco, un corrispettivo illogico del buio senza tutta la connotazione negativa, angosciosa e disperante che si è soliti associare al buio. Uno spazio abitato da un biancore denso, familiare ma distante, in qualche strano modo ostile, eppure il luogo stesso dove sai di dover vivere, e procedere.
Where each set of eyes finds a different camera
Shining like the sun on the rain
An old photograph that I’ve never seen
Si faceva largo, questa canzone, mandando avanti una chitarra ciondolante, frusta, piuttosto nuda, il giro di accordi prevedibile nella sua declinazione malinconica. La chitarra da sola conteneva abbastanza afflizione da stendere un cavallo, ma anche qualcosa di forte, di imbattibile. Sembrava dire: non puoi battere chi conosce ogni declinazione, ogni sfumatura, ogni dettaglio della sconfitta, e ne ha fatto una chiave per aprire varchi tra sé e il mondo.
I follow the wires to the horizon
There’s zero chance that I’m gonna cry
Il libro si chiude riportando alcuni testi di canzoni contenute in Warm, disco firmato Jeff Tweedy uscito nel 2018. Tra quei testi non c’è però quello di How Hard Is It For A Desert To Die, ovvero la canzone che mi è venuta in testa – come una sorta di soundtrack istintiva, automatica, implicita – mentro affrontavo l’ultimo capitolo. Non c’è, questa canzone, forse perché non è la più bella e significativa di Warm, o forse perché è quella che più di ogni altra si avvicina al centro di quella vibrazione che avvertivo sempre più chiara, pagina dopo pagina. Sia come sia, è anche la canzone che da un paio di mattine accompagna il mio scivolare fuori dal letto, il mio tentare di consegnarmi a un nuovo giorno in una condizione accettabile, la migliore condizione possibile.
Sotto la chitarra (dietro, attorno) puoi sentire rumori che fanno pensare a un ambiente domestico, a una registrazione occasionale rubata al quotidiano. D’un tratto, nel momento che somiglia proprio a quello giusto, parte una batteria con la solennità accartocciata di chi si porta dentro un affetto e una ferita, ma non riesce a – non sa – distinguerli bene. Non in quel momento, almeno¹. Poco più avanti arrivano una lap steel spaurita e, certo, la voce di Jeff Tweedy, a ribadire tutta la forza di chi possiede il “superpotere della vulnerabilità”. Una voce che contiene il dolore di chi ha attraversato tutto lo smarrimento e ha saputo tornare a casa. Di chi ha capito il senso profondo di questa parola: casa. E non ha eretto muri a proteggerla, ma ha curato le crepe perché ne uscisse la giusta quantità di bagliore.
I think that fame is a misunderstanding
How hard is it for a desert to die?
¹ero convinto che l’avesse suonata suo figlio Spencer, invece a quanto pare è l’unica canzone di Warm suonata interamente da Jeff, come se si trattasse di una questione talmente intima da non poterla condividere con altri (a parte, ovviamente, il pubblico)
Sto valutando l’acquisto di Let’s Go (So We Can Get Back), quindi sicuramente leggerò le tue impressioni su SA. Hai per caso letto anche quello scritto da Tim Grierson (edito da Arcana) uscito qualche anno fa?
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No, quello mi manca. Tweedy davvero godibile.
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[…] che un autore può dirci di sé. In questo senso, il contrasto con la recente lettura dell’autobiografia di Jeff Tweedy è netto e rivelatorio (nonché impietoso). E sì che non mancherebbero punti di […]
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[…] perché in questi giorni sto leggendo Let’s Go (So We Can Get Back), l’autobiografia di Tweedy, che nel retrocopertina riporta questo […]
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[…] connessioni profonde tra le problematiche vicende personali di Tweedy (raccontate nella sua recente, bellissima autobiografia) e un senso di inquietudine più diffusa, annidata nello spirito del tempo. C’era come un […]
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[…] è come stare di fronte a un cenacolo nel quale osservi Gram Parsons, Neil Young e Jeff Tweedy conversare sotto a una luna rosa. Mi ha fatto tornare in mente anche quello che potrebbe essere […]
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