C’è quel riff di chitarra, certo. Crudo. Elementare. Tutta un’economia di potenza e brutalità. Non è soltanto il punto di forza di You Really Got Me, ma la breccia (o una delle brecce, di certo tra le principali) attraverso cui il massimalismo elettrico sciamerà nella popular music, constatata la possibilità che suoni hard potessero rappresentare un valore aggiunto e un autentico codice per le nuove generazioni.
Un prototipo quindi, ma con una nutrita schiera di precedenti in ambiti così lontani così vicini: il blues elettrificato e il RnB, Leadbelly, Howlin’ Wolf e Willie Dixon, l’energia cruda e assertiva dei power chords. Tutto questo però ricondotto dai Kinks fuori dalla cappa di ossessione, oppressione e redenzione impossibile dei bluesman, per finire iniettato nello sguardo irrequieto e in espansione della gioventù britannica, ansiosa di scuotere la polvere delle macerie post-belliche dalle giacche di velluto, di sollevarsi e dettare i parametri, i margini di manovra, le regole dei tempi nuovi.
Il celebre riff di You Really Got Me si impone sull’arrangiamento originale – più morbido, quasi jazzistico – come rappresentazione sonora del
desiderio di abbattere quel muro di limiti e convenzioni di fronte al quale erano costrette a frenare le migliori intenzioni delle pop song, anche se molte – carburate dalla folgore del rock’n’roll e dai primi vagiti psichedelici – avevano già imparato a balzare oltre. I Kinks dei fratelli Davies, spinti dai loro manager¹ come altre milioni di band a imitare il fenomeno Beatles, imboccarono un sentiero decisamente più ruvido a dispetto della incipiente vena giocosa e romantica (che permetterà loro di sfornare di lì a poco impareggiabili meraviglie melodiche). Confezionarono così questa canzone-ariete che con la sua progressione armonica ci racconta – col minimo di segni verbali e sonori a disposizione – un intreccio decisamente realistico di trasporto ed eccitazione.
Pochi discorsi, pochi cazzi:
con quella voce stropicciata dal bolide ormonale che cova sotto la posa sorniona, Ray sbraita al mondo che, sì, è preso di brutto e, no, non riesce manco più a dormire. Sembra banale, ma è semplicemente tutto quel che c’è da dire, tolto l’inutile. A suggellare questo tumulto ormonale, arriva l’assolo di Dave Davies², un assalto scomposto, fratto, spasmodico, una raffica di schizzi da action painting orgasmico, non priva del retrogusto rabbioso come il residuo di tutta la difficoltà affrontata per conquistare quel grado di libertà, quel gesto che dice: “sono io, pienamente vivo”.
You Really Got Me fu pubblicato come singolo il 4 agosto del 1964. Raggiunse la posizione numero uno in patria e la settima in USA. Di fatto, fece decollare i Kinks verso ciò che sappiamo (per me il loro capolavoro è questo). Il pop, il rock, il power pop, l’hard rock, il glam e molti altri (c’è chi dice pure l’heavy metal) ringraziano. Noi tutti, sentitamente, ringraziamo. E non ci stanchiamo di ascoltare quel prodigio ancora incandescente.
¹ nel caso specifico, un pezzo da novanta come Shel Talmy, responsabile anche del fenomeno The Who
² per anni ha ottenuto credito la leggenda che fosse opera di Jimmy Page, ma il futuro Led Zeppelin non partecipò affatto a quelle sedute di incisione. Tuttavia è significativo che una tale potenza e definizione abbia provocato questa “fake news”, come se non fosse credibile aspettarsi exploit del genere da una band come i Kinks (che però erano in grado di fare praticamente qualsiasi cosa, come hanno ampiamente dimostrato negli anni)
[…] il rock fa parte dell’ecosistema. Fare colazione in un albergo per famiglie con sottofondo di Kinks e Blur è praticamente la norma, magari sfogliando un dépliant che reclamizza uno dei tanti London […]
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[…] esercizi di superamento del formato canzone di Small Faces, Moody Blues, Procol Harum, Kinks, The Who e via discorrendo. In particolare, S.F. Sorrow è un album fantastico firmato da una band […]
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[…] da Pete Townshend, è un pezzo che deve qualcosa ai primi, tumultuosi Kinks (del resto il produttore era lo stesso: Shel Talmy) ma la sua fibra è sensibilmente diversa […]
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