L’Iguana era a pezzi: un romanzo tra Iggy e la Francigena

L’Iguana del titolo è proprio lui: il caro vecchio Iggy. Ma questo, spero di non deludervi, non è un romanzo rock: è altro ed è – consentitemi – di più. L’esordio del classe ’81 Giulio Pedani, già noto e apprezzato autore di racconti (pubblicati tra l’altro su Corriere della Sera, In fuga dalla bocciofila e Futbologia), è una vicenda assieme picaresca e di formazione con protagonisti tre millennial. Dei tre è Cile – così detto per la chioma liscia e corvina – a incaricarsi di dire io, lui che unisce i puntini per ricomporre le tessere della memoria. La sua narrazione è un viaggio assieme interiore e terreno, un andare geografico e mnemonico, un camminare per mille (?) chilometri lungo la Francigena, vena antica, celebre eppure refrattaria alle regole e ai codici della civiltà. E Iggy? Cosa c’entra Iggy? Certo che c’entra. Fra un po’ ci arriviamo.

l'iguana era a pezzi

Dicevamo di Cile: una telefonata di Bush lo informa che il loro vecchio amico Igor è stato ricoverato in un ospedale romano, e che non è messo affatto bene. A dirla tutta, è in coma. Ovviamente Cile decide di raggiungerlo, ma non nella maniera più semplice, rapida e, come dire, canonica: il suo viaggio deve prevedere tempo, fatica, difficoltà, concretezza. Realtà. Deve fare i conti, osservare il presente e i suoi luoghi con lo sguardo di un estraneo, di chi proviene da un percorso non condiviso, di chi ha sempre osservato con un senso di non appartenenza, di rifiuto. Come se tutto l’impasto di affetti, indole, paura e ambizione andasse continuamente a sbattere contro gli spigoli della prevaricazione, delle convenzioni, degli incastri del destino. E allora è proprio il caso di farsi centinaia di chilometri a piedi lungo la Francigena, appunto. Dal confine francese – Oulx – alla “Capitale appassita”, lasciandosi travolgere dalla pioggia e soffocare dalla canicola, dormendo in conventi e comunità di recupero, tuffandosi in polle d’acqua gelate, incontrando cani spaventosi, scambiando sguardi e parole con individui sfuggenti, freddi come cemento o insospettabilmente acuti. Andando incontro a quello stronzo del Destino.

Tuffarsi insomma nel cuore di una Natura di nuovo matrigna come se fosse il dark side immanente della civiltà: questo il prezzo da pagare per riottenere un punto di vista in grado di vedere davvero, come se infrangere l’illusione della “cittadinanza” (una città di origine, quella del protagonista, mai citata direttamente ma nominata col significativo epiteto di “Feudo” – spoiler: si tratta di Siena) ed esporsi in quanto individuo-preda rappresentasse la chiave per tornare alla dimensione di individuo-senziente.

francigena

Un po’ come l’Enrico Brizzi psicoatleta de Il Pellegrino dalle braccia d’inchiostro, senza scordare la capacità – la necessità – di contesto storico e relativa sintesi (pessimista, cruda, mortificante), un po’ come il Vanni Santoni de I Fratelli Michelangelo, a cui si affianca una durezza intrisa di necessità che mi ha ricordato l’Ammaniti di Io non ho paura. A proposito di quest’ultimo, va detto che un filo di cannibalismo attraversa in effetti ogni capitolo, fino a deflagrare in un finale dalla crudezza sconcertante, che – pur rischiando di apparire incongruo – alla fine giustifica se stesso come puro raptus di fiction liberatoria. Resta tuttavia – kerouackianamente – il viaggio stesso la meta vera, quel modo in cui ogni capitolo diventa un approdo prima che una tappa, quel ridisporsi di presente (uno ieri sul punto di farsi oggi metallizzato di buonsenso sovranista) e passato, il ricordo che sboccia ora intimo e ora corale (un corale che conosce l’altezza d’uomo del popolare), il trascolorarsi dell’infanzia coi suoi margini maligni (echi di Stand By Me, il celebre racconto di Stephen King o il film di Rob Reiner, fate voi) in un’adolescenza senza pace, persino crudele.

La progressiva consapevolezza dei tre protagonisti prende forma assieme all’insofferenza per il modello sociale che postula un conformismo senza radici, dal cuore sempre più sordo e freddo, svuotato di empatia.

giulio_pedani
Giulio Pedani

I flashback scolpiscono quindi una sagoma sempre più ostile (nei dialoghi spuntano come incubi i protagonisti degli ultimi sciagurati trent’anni di Storia), anche quando si abbandona al puro ed esilarante amarcord (il cenone d’estate nel Bosco di Marmo è un piccolo capolavoro di ritmo e comicità degno del miglior Benni), chiarendo passo dopo passo (è il caso di dire) la dinamica tesa e profonda di un rapporto che si sporge oltre un’amicizia comunque tormentata (Bush è un’epitome irresistibile e a tratti insopportabile di generosità e violenza: gran personaggio) assieme a una profonda amarezza generazionale per lo sbriciolarsi di quel “piccolo mondo antico” che (ci) sosteneva forse più di quanto possiamo permetterci di comprendere e accettare.

E Iggy? Iggy è “solo” un eroe rock’n’roll per i protagonisti, certo, un ingrediente piuttosto marginale tuttavia – tuttavia – decisivo. È il pugno di sabbia che ottura l’imbuto delle possibilità, dei percorsi, dei compromessi, della grossolanità esistenziale che può solo produrre conformismi variamente violenti: Iggy lo ottura quel cazzo di imbuto, provocando un salvifico sversamento di estro, di energia fisica e spirituale. Eppure era a pezzi, l’Iguana, dopo il naufragio degli Stooges: devastato appunto nel fisico e nello spirito a causa di tutto ciò che sappiamo. A quel punto ci fu chi continuò a vedere qualcosa di luminoso e grande in lui, ed è il motivo per cui siamo ancora qui a godere ascoltando album stupefacenti e cruciali come The Idiot, Lust For Life o American Caesar (fino al più recente, bellissimo Post Pop Depression).

Se tra le pagine di questo L’Iguana era a pezzi (pubblicato dalla benemerita effequ) dovesse proprio nascondersi un messaggio (tra gli altri), mi azzarderei a dire che è una specie di segnale d’allarme: quello che ti urla la necessità di tornare a prendere coscienza del mondo. E che è meglio farlo presto e camminando, prima che si renda necessario buttarsi dall’auto in corsa.

«Bush».
«Eh».
«Sei sicuro?»
«Di cosa?»
«Di andare a tuffarci in questo mare di merda».
«Sai nuotare no?»
«Solo nell’acqua».
«Dalla Rupe, eri il primo tuffatore assoluto. Un grandissimo».
«Ho paura».
«Perché dimentichi che sei con me. E che quando sei con me, l’unico che ti può far male sono io. Tieni. Fuma».
«Ho paura lo stesso».
«Se l’Iguana ha superato i settanta, nessuno di noi può temere più niente».

2 commenti

  1. […] Ora, che io abbia dei problemi è pacifico, ma poi la verità è che ho solo bisogno di esser presa a ciaffate nel muso in modo da potermi ripigliare ma soprattutto riappacificare con le cose. Ebbene, curiosamente, ancora una volta, le ciaffate me le tira effequ, e bimbi io ve lo dico, questo per me è ufficialmente Il Libro dell’Estate 2019. Adesso vi spiego perché (per la trama, qui. Per una recensione vera, qui). […]

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