Ho raggiunto da un pezzo l’età in cui scrivere dei dischi che si è amato significa anche (innanzitutto?) scrivere di sé. Si tratta, a ben vedere, di essere un po’ più scoperti e sinceri in un gioco che da sempre prevede una certa preponderanza dell’ego. Ebbene, sì: penso che ogni recensione sia un frammento autobiografico sotto mentite spoglie, nella misura in cui intende raccontare di un disco le implicazioni con la vita del recensore/ascoltatore. Che poi quest’ultimo – strano a dirsi – è un individuo come tutti gli altri, solo mediamente più melodrammatico, talora drastico, quasi sempre snob (a dispetto di una certa trasandatezza nel vestire).
Tutto questo è ancor più vero quando la recensione riguarda vecchi dischi, aventi per oggetto cioè anche l’impatto in prospettiva del disco, ciò che ha significato all’epoca dell’uscita e quello che continua a significare, mutando il senso nel presente e anche – anche – in quel passato che viene così rivisto, ricodificato, talora pure aggiustato, più o meno consapevolmente (e strumentalmente). Quest’ultimo aspetto dovrebbe legittimare almeno in parte l’ossimoro innescato dall’accostamento tra “recensione” – che concerne cioè eventi nuovi o comunque recenti – e “vecchi dischi”, i quali rivisti alla luce dell’oggi assumono in qualche misura aspetto nuovo, si rinnovano invecchiando tra sensibilità nuove.
Questo bel (bel?) panegirico per dire che oggi è l’anniversario di Echo (uscì il 13 aprile del 1999), decimo titolo targato Tom Petty & The Heartbreakers, e che per l’occasione è uscita una mia “recensione classic” per Sentireascoltare. Nella quale, mi rendo conto, ho scritto molto di me in relazione a quel disco, più che del disco.
Se ho fatto così è perché ritenevo che fosse il modo migliore per parlare di Echo, del suo senso oggi e del suo senso oggi per me, che guarda caso mi trovo ad avere l’età di Petty quando lo pubblicò. Ovviamente non ho potuto evitare di allargare l’obiettivo e includere nel discorso lo stato del rock in quella critica cuspide tra vecchio e nuovo millennio, spingendomi ad alludere che Echo potrebbe rappresentare uno degli ultimi grandi dischi rock, di quando il rock era ancora un attore cruciale ma già iniziava ad avvitarsi in una crisi tuttora in atto. Non ho potuto evitarlo perché è un argomento che mi interessa così tanto da considerarlo parte della mia stessa vita, quindi non c’è alcuna contraddizione rispetto a quello che ho scritto sopra riguardo alla natura delle recensioni (cancellate pure quella bozza di risposta).
Insomma, c’è questo disco, Echo, uno dei migliori nella discografia di un grande rocker che purtroppo ci ha lasciati. È un disco bellissimo, come tutto quello che ha significato, che lo conoscessimo o meno.
Un grande che non verrà mai rimpiazzato… nella musica. Bella questa contrapposizione fra il tuo averlo vissuto ieri… e il riviverlo oggi. Rende l’idea che alla fine… le nostre esperienze sono spesso legate ad alcuni brani che c’è le rammentano sempre…😊 notte ste! Ero dietro a Propaganda live… e ti ho visto !
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