Qualche anno fa (molti) la webzine Indiepop mi chiese un raccontino ispirato a una canzone. Potevo sceglierla liberamente, la canzone a cui ispirarmi: fu una scelta immediata, forse persino – in un certo senso – obbligata. Il raccontino venne fuori rapido e breve, intriso di cose vere sotto mentite spoglie. Lo ripropongo qui, senza ritocchi (più o meno), oggi che è l’anniversario di Lifes Rich Pageant, quarto album dei R.E.M., uscito il 28 luglio del 1986.
***
Giorgio e il Drago
Li chiamavamo Giorgio e il Drago. Il Drago era la sua Opel verde. Il Drago era dentro di lui. Il rumore che faceva, quando si avvicinava al bar: ruggito di marmitta tubercolosa, guaiti di carcassa allo stremo.
Il rumore iniziò con l’incidente, un quasi frontale su una strada periferica. Giorgio ne uscì illeso e incolpevole. L’altro, illeso e colpevole. Le auto, straziate. L’altro pagò e la Opel verde fu riportata a un livello minimo di efficienza, ma fu un lavoro al risparmio: per quei soldi Giorgio aveva piani, come dire, diversi. Così il bar dovette abituarsi al Drago sferragliante. L’altro Drago, quello invisibile, si mangiò i soldi dell’officina e della carrozzeria.
C’era un autoradio nella p(l)ancia del Drago. Non era un granché, come apparecchio. Lo riscattava però il “combustibile”: Depeche Mode e Hüsker Dü, Cure e Gun Club, Bauhaus e R.E.M. I R.E.M., appunto: Giorgio tenne Lifes Rich Pageant nell’autoradio per giorni, ma in pochi se ne accorsero. Quei pochi ci passarono una serata, nella pancia del Drago, ad ascoltare quel disco. A parlare di questo e di quello, di fare e disfare. A contare le ustioni di cicche sui seggiolini. A ipotizzare l’origine delle macchie secolari. A prendersi cordialmente per il culo. E ad ascoltare.
Insomma, c’era quell’aria densa e schizzata, all’interno del Drago. C’era il casino che potete immaginare. Risate, spremute di coglioni, storie rigorosamente false o molto accomodate, quelle cose lì. E Giorgio, il padrone di casa, andava e veniva. C’era e non c’era. Necessario come una nota dominante ma stonata. Ricordo bene il suo profilo, la fronte appoggiata al finestrino, gli occhi buttati sul nulla fuori.
Sulle sue labbra, silenziose, le parole di Fall On Me.
Feathers hit the ground before the weight can leave the air
Chissà se le sapeva giuste, quelle parole. O se tirava a indovinarle rabberciate, come me.
A way to talk around the problem (when the children reign)
Chissà se in qualche modo se lo trovava dentro, quel girotondo laconico. Quella giostrina di carezze tristi. Quell’enfasi disinnescata.
Don’t fall on me (What is it up in the air for) (It’s gonna fall)
*
Un giorno, il Drago sparì. Niente più sferragliare, niente più lamiera verde accartocciata. Giorgio divenne un saluto di passaggio dall’auto di qualcun altro. Noi pure, c’eravamo un po’ meno. Sempre di meno.
Alessandro: è morto per le conseguenze dell’impatto contro un muretto, il fegato schiacciato. Lui che beveva solo birre leggere. Però come correva, in moto. Leggera anche quella spavalderia. Lui che pesava centoventi chili (dicevano).
Claudio: s’è sposato e separato, s’è messo a vendere di tutto, una volta persino un suo vecchio anello. Per l’affitto (diceva).
Paolo: vive da solo. Va spesso al cinema. Ha aperto un blog. Non ha donne. Non è gay (dicono).
Lucia: fa l’infermiera. Sta per sposarsi (da quindici anni).
Barbara: ha i capelli blu, e un futuro davanti (diceva).
Giovanni: è una guardia giurata. Lo vedo sempre al parcheggio del supermercato. La divisa fa schifo. Mi saluta in fretta, di solito.
Altri: non pervenuti, o dimenticati.
*
Oggi è accaduta una cosa che a pensarci non mi sembra vera. Ai giardini incontro Giorgio. I jeans e la maglietta grigia. Sta spingendo una carrozzina. Magro come un ramo, come il cristo che non è mai stato. Però ha gli stessi capelli, non uno di meno. Convinco mia figlia a staccarsi dall’altalena e a seguirmi. Lo raggiungo. Mi vede, mi riconosce, sorride. I denti, un disastro. Nella carrozzina c’è un bambino di forse sei mesi, biondo, paffuto: un’apparizione. Piagnucola, però.
Giorgio e i suoi occhi spersi, le parole gl’inciampano. Mi dice che non sa bene, è preoccupato, ha paura che il bambino stia male. Non gli capita spesso di starci da solo, oggi la madre doveva lavorare, i nonni in viaggio, lui si è preso un giorno di ferie. È andata bene finora, ma adesso il bambino piange e Giorgio non sa cosa fare. Una striscia di panico nell’opaco dello sguardo.
Giorgio, gli dico, il bambino sta bene. Scoppia di salute. Ha sonno, forse, o fame, o gli manca sua madre. I bambini sono dei gran rompicoglioni, sai? L’ho tranquillizzato, ma solo un po’. Non mi dice niente di lui, cosa fa, come sta. Non glielo chiedo. Dice che è meglio se adesso va a casa. Mi sorride, un sorriso fragile, un sorriso più febbre che altro. Un sorriso senza memoria.
Se ne va. Lo guardo di spalle. Ha uno strano modo di camminare, come se le gambe lo portassero dove non vogliono.
Compra il cielo e vendi il cielo
E alza le braccia verso il cielo
E chiedi al cielo, chiedi al cielo
Cadi su di me
Sono in ritardo nella lettura dei post… comunque ho ordinato il tuo libro Nastri che spero arriverà prima delle partenza per le vacanze… incrocio le dita.
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Grazie! Spero che ti arrivi in fretta, buona lettura!!
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Ti terrò aggiornato.
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Molto bello. Un mix di ricordi, nostalgia, sogni e vita. Intenso e reale.
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Grazie!
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[…] Pavement. Adore dei Pumpkins. Undercover degli Stones. Fables Of The Reconstruction dei REM. Album dei Public Image Ltd. Lodger di Bowie. Zooropa degli […]
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[…] amare il rock (e non ho citato i vari Pavement, Beck, Flaming Lips, Mercury Rev, per non dire dei R.E.M. ancora a livelli altissimi, insomma, la lista sarebbe lunghissima…). In tutto ciò, gli […]
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[…] di sconcerto ipermoderno e tremore folk-prog di Dream Sequence #1, la ripida scala techno ibridata R.E.M. col fiato strozzato di The Ideal Crash. E soprattutto Everybody’s Weird, che ha il non […]
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