Leggere che il 9 novembre del 1970 usciva quella meraviglia di disco che era – che è – No Dice, mi ha fatto tornare in mente per l’ennesima volta la paradossale vicenda dei Badfinger. Band di prima categoria, con un canzoniere fantastico, ma oggi perlopiù dimenticata. Cose che capitano nel rock e nella vita, è come un ripiegarsi di bellezza, merito e fortuna in una bolla dove le consuete leggi che ne regolano l’interazione vengono sospese, a volte persino invertite. Succede, e il meglio che possiamo fare, casomai, è raccontarlo.
Qualche anno fa scrissi un pezzo sul power pop del periodo ’69-’77 su Sentireascoltare. Un paragrafo era inevitabilmente dedicato ai Badfinger. Lo ripropongo qui.
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I Badfinger presero le mosse in Galles sotto la migliore benedizione possibile, quella dei Fab Four nientemeno. Nati a metà anni sessanta come The Iveys, attirarono le attenzioni di Mal Evans della Apple che ne pubblicò l’esordio Maybe Tomorrow (1969), prodotto da – nientepopodimenoche – Tony Visconti. La vena compositiva di Tom Evans e soprattutto Pete Ham non mancò di colpire i bersagli giusti, tra cui un certo Paul McCartney che regalò loro Come And Get It, opening track di Magic Christian Music (1970), sorta di secondo esordio per l’egida Badfinger nonché parziale soundtrack di Magic Christian, poco memorabile pellicola con Peter Sellers e Ringo Starr.
E’ un buon disco, prodotto ancora da Visconti assieme a Macca e con la partecipazione addirittura di George Martin. L’aura di Sir Paul pervade il tutto (sentite I’m In Love), perciò (eppure?) suona chiaramente come un album che si è lasciato i sixties alle spalle e quindi tenta di ricostruirne il “realismo magico”, ovvero s’illude di poterne ripercorrere le strade riallacciando le direzioni smarrite, consapevole della splendida velleità cui si sta prestando. In questo senso, brani come Carry On Till Tomorrow, Midnight Sun o Dear Angie raccontano questo stato di crisi artistica come le parole non possono, impastando trasporto e disincanto, spleen e fervore, prospettiva e nostalgia.
Una tragicommedia di finzione ed eccitazioni che significano spostare un po’ più in là gli steccati del sogno rock, per non rassegnarsi all’incubo che il mondo – e il rock con lui – stava diventando. Il successivo No Dice (1970) è un capolavoro: prodotto da un beatlesiano doc come Geoffrey Emerick, riesce a combinare nelle giuste dosi una scrittura intrigante e un sound che pesca con sagacia dal jingle jangle, dal soul, dall’errebì, dal folk-psych, il tutto ovviamente in chiave pop. Se No Matter What e I Can’t Take It sono l’anello di congiunzione tra i boogie dei Creedence e quelli dei T.Rex, Midnight Caller e Without You sono le ballate in cui l’inquietudine elettrica è la bestiolina nell’ombra, il ghigno malevolo e dolciastro. Il fatto poi che proprio Without You fosse destinato a diventare un singolo sfasciaclassifiche nelle versioni di Harry Nillson prima e Mariah Carey poi, non fa che ribadire la qualità delle penne di Ham e Evans.
Che difatti col successivo Straight Up (1971) – prodotto, pensate un po’, dalla strana coppia Todd Rundgren e George Harrison – misero a segno un’altra meraviglia: pezzi come Day After Day, Money, Take It All, Flying (scritta dal chitarrista Joey Molland) e soprattutto Baby Blue sono l’alfa e l’omega del sentire pop contagiato di impagabili smarrimenti psych. Ascoltandoli, ti viene voglia di rimpiangere davvero l’occasione perduta di un mondo migliore in cui le radio diffondono sensazioni tanto più suadenti quanto più vere, rese vere cioè dal loro essere il più opportuno (l’unico?) antidoto alla realtà, la dura realtà.
Dopo gli ancor buoni Ass (1973), il successivo Badfinger (1974) e il canto del cigno Wish You Were Here (1974), la parabola della band andò a infrangersi tragicamente sul suicidio del leader Pete Ham (il 23 aprile del ’75).
Una gran brutta sfortunata storia … molto influente lo stile Beatles… nell’aria. Con ogni probabilità nel tempo li avrebbero scavalcati di notorietà. Pure mie considerazioni. Per quel che ho letto in rete la loro città li onorerà … finalmente.
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